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Archivio di Stato di Bologna

Descrizione

L'AS Bologna, istituito con r.d. 22 ott. 1874, n. 2256, cominciò a funzionare nel corso dell'anno seguente. L'esigenza di conservare i fondi archivistici, sparsi nei vari luoghi della città, in un unico archivio centrale, o grande archivio, era stata avvertita nel decennio precedente in alcuni ambienti culturali locali [Aveva cercato di soddisfare tale esigenza soprattutto la deputazione di storia patria delle province di Romagna]. Una scelta culturale, dunque, sta alla base dell'istituzione dell'archivio bolognese. Lungo poco più di un decennio vi fu concentrata pressoché tutta la documentazione archivistica relativa alle magistrature politiche, amministrative, giudiziarie e finanziarie del periodo medievale e moderno. Tali magistrature vanno collocate nell'ambito di alcune vicende storiche. Bologna fu " libero comune " fino alla fine del sec. XIII - primi decenni del sec. XIV; visse nei secc. XIV-XV le varie esperienze signorili dei Pepoli, dei Visconti, dei vicari pontifici, dei Bentivoglio, e così via; divenne nei primi anni del sec. XVI sede di legazione quando, finita la signoria di Giovanni II Bentivoglio, rientrò nell'ambito dello Stato pontificio. All'interno dell'organizzazione periferica dello Stato pontificio, che era del resto più un aggregato di province dalle tradizioni notevolmente diverse che un vero organismo unitario, la città godette di una particolare forma di governo. Quest'ultima era fondata su una complessa, ed ancora poco studiata, struttura politico-amministrativa facente capo al legato pontificio ed al senato cittadino; essa durò senza soluzione di continuità fino al giugno 1796. Da tale anno non si ebbero più forme di governo del tutto peculiari. Fino al 1815 si susseguirono magistrature similari a quelle di altre città, occupate dai francesi, dagli austriaci e facenti poi parte del regno italico; dal 1816 all'annessione al regno sardo la città, salvo le brevi parentesi del 1831 e del 1848, fu sede di legazione all'interno della struttura periferica dello Stato pontificio. Le singole magistrature cittadine che, al di là degli eventi generali più rilevanti, ebbero loro storie particolari, hanno lasciato tracce notevoli nel modo in cui si è sedimentata la documentazione archivistica. Non è possibile trattare adeguatamente tale aspetto; ma va almeno ricordato il peso secolare che lo Studio, nato assieme al comune - che cercò in seguito di inserirlo nel suo ambito tramite, ad esempio, i riformatori dello Studio - esercitò su tutti i livelli della vita cittadina. Bologna sembrò non voler mai dimenticare, anche quando la mutata realtà politico-economica imponeva di farlo, di essere stata nei secc. XII-XIII, grazie allo Studio, centro cosmopolita di vita culturale ed economica e, nei secc. XIII-XIV, sede di una delle più prestigiose scuole di notariato. Così, dopo che in forza dei capitoli di Nicolò V del 1447 regolanti i rapporti tra la Santa Sede e Bologna, quest'ultima sembrava destinata a perdere tutto quanto si riconnetteva alla libertas comunale, i giuristi dello studio si affannarono, e per secoli, a trovare i modi e le forme per ridurre al minimo la sua condizione di città dipendente. Già nella prima metà del secolo XV si tentò inoltre di adattare gli istituti comunali alla mutata realtà politica mediante un processo di ripiegamento su se stessi. Così i governi signorili che si susseguirono in tale secolo non modificarono che alcuni aspetti della precedente struttura organizzativa; anche la documentazione archivistica che ci è rimasta ne è per molti aspetti una prova. Ed il ceto aristocratico dominante, man mano che perdeva il controllo della sfera politica, cercò di mantenere quello della sfera amministrativa, salvaguardandone il più possibile almeno le forme e le apparenze. Si spiega così il desiderio di conservare, per alcune magistrature, antiche denominazioni, quasi che ciò fosse sufficiente a nascondere lo svuotamento di potere che le connotava (si ricordano ad esempio gli anziani consoli e i tribuni della plebe). E si spiega altresì la puntigliosità del senato nel mantenere in vita certe sue prerogative, anche formali, nei confronti del governo di Roma. Le vicende proprie dalle singole magistrature, via via formatesi nel corso dei secoli, sono senz'altro un punto di riferimento valido per l'adeguata comprensione della rispettiva documentazione archivistica. Ma lo sono altrettanto le vicende proprie di quest'ultima, quali distruzioni, concentrazioni, smembramenti, riordinamenti, spostamenti materiali con conseguenti commistioni di fondi. Esse sono state anzi determinanti per la sorte di gran parte degli archivi bolognesi, dal momento che la loro struttura attuale è parzialmente o completamente diversa rispetto a quella originaria. Soprattutto i riordinamenti che sotto l'influenza muratoriana e postmuratoriana furono operati lungo il Settecento sia negli archivi delle magistrature pubbliche, sia in quelli delle corporazioni religiose e delle famiglie gentilizie, hanno lasciato segni rilevanti ed incancellabili. Determinante per la fisionomia che tuttora conserva gran parte della documentazione archivistica bolognese, soprattutto quella relativa a tutto il sec. XVIII, è stato l'operato di Carlo Malagola. A quest'ultimo si deve infatti nei primi anni di vita dell'Archivio di Stato una sistemazione generale della complessiva documentazione allora concentrata. Malagola nel compierla riordinò i vari fondi in modo più o meno sommario secondo quello che si suole definire metodo storico. Ciò spiega la secolare fortuna dell'operato del Malagola; ancora oggi se ne vedono segni rilevanti nel materiale archivistico. Tra questi va ricordata la cesura in esso operata in rapporto a criteri periodizzanti ritenuti validi per la adeguata comprensione della storia cittadina. Malagola distinse infatti il materiale archivistico in tre periodi: il primo, " comunale " dal 1116 al 1512; il secondo, " pontificio ", dal 1512 al 1796; il terzo, " moderno ", dal 1796 al periodo a lui coevo. Ma se il 1796 è da considerare, per quanto riguarda gli istituti politici e amministrativi - assai meno invece per gli altri - una data di rottura, il 1512 appare oggi una data meno significativa e meno carica di conseguenze di quanto apparisse al Malagola. E soprattutto si rivela una scelta periodizzante non applicabile uniformemente a tutti i settori della realtà storica cinquecentesca e ai corrispondenti fondi archivistici. Malagola comunque l'applicò rigidamente, seguendo in ciò i suggerimenti di Francesco Bonaini, incaricato nel settembre del 1860, dal ministero della pubblica istruzione, di ispezionare gli archivi delle province dell'Emilia, soprattutto quelli di Modena e Bologna. Non fu invece accolta né dal Malagola né dagli archivisti che operarono in seguito nell'Archivio di Stato bolognese la proposta suggerita dal Bonaini circa la costituzione di un archivio diplomatico. Le pergamene elencate sommariamente dal Bonaini, nell'opera a stampa che ci ha lasciato, quali fondamentali per la formazione di tale nucleo si trovano tuttora o nei fondi di originaria appartenenza o in pochi casi nei fondi successivamente ricostruiti; esse non sono state mai ordinate o schedate in modo autonomo rispetto al materiale cartaceo con il quale sono, talvolta, frammiste. Non deve pertanto sorprendere se nelle descrizioni dei singoli fondi medievali esse non sono state evidenziate. Malagola distinse la documentazione archivistica fino al 1512 (quando si verificò l'ultimo tentativo bentivolesco di prendere il potere della città), in tre sezioni: governo, giurisdizione del podestà, uffici subalterni. La prima di esse venne riordinata o più precisamente radicalmente scomposta tra la fine del sec. XIX e i primi del sec. XX; gli archivisti che in seguito lavorarono su tali documenti si limitarono ad introdurre qualche variante all'interno dell'arbitraria ristrutturazione per categorie allora adottata. La seconda e la terza - ai fondi costituenti quest'ultima abbiamo però preferito dare la denominazione complessiva di uffici a competenza specifica - hanno mantenuto grosso modo fino ad oggi la struttura loro data dal Malagola anche se sono state entrambe in anni recenti o meno recenti complessivamente riesaminate al fine di individuare meglio gli archivi. o serie di singole magistrature. In generale dell'antica Camera actorum sono rimaste soltanto preziose tracce nei documenti archivistici, tali da poterci, forse, far ricostruire in teoria l'antica struttura, mai però riportarla tra le carte. Ciò non toglie che la documentazione attinente al periodo comunale conservataci sia assai ricca; alcune serie anzi, come quelle appartenenti all'ufficio dei memoriali e alla curia dei podestà - che iniziano dal sec. XIII - sono forse uniche per completezza ed omogeneità. Il nucleo archivistico già appartenente alla medievale Camera actorum - vero e proprio archivio centrale regolato da una normativa archivistica via via presente nella legislazione statutaria cittadina dal 1288 al 1454- costituisce uno dei nuclei più importanti, intorno ai quali si verificò, lungo i decenni successivi all'istituzione dell'Archivio di Stato, il concentramento di altri fondi. Nella Camera actorum si conservavano i documenti prodotti od acquisiti dalle varie magistrature comunali. Ma la fisionomia dell'istituto cominciò a snaturarsi a partire dalla seconda metà del sec. XV fino a modificarsi completamente lungo i secoli successivi. Nel 1452 era stato istituito l'ufficio del registro presso il quale dovevano essere conservate le copie dei rogiti notarili stipulati in città e nel contado. La crescente produzione documentaria dell'ufficio del registro, conservata presso la Camera actorum, fece assumere sempre più a quest'ultima, che prese il nome di Archivio pubblico, i connotati di un Archivio notarile; ma di vero e proprio Archivio notarile si può parlare solo a partire dalla seconda metà del sec. XVII quando presso l'ufficio del registro si sostituì l'archiviazione alla registrazione degli atti, e soprattutto quando lungo il sec. XVIII si cercò di raccogliere ad opera dell'assunteria d'archivio le matrici ed i protocolli originari dei notai. L'assunteria preposta all'archivio dedicò nel sec. XVII e nella prima metà del successivo, scarso interesse al materiale via via accumulatosi presso l'Archivio pubblico; solo nella seconda metà del Settecento si eseguirono alcuni riordinamenti, quali ad esempio quello attinente all'ufficio delle riformagioni. Ma fu soprattutto per merito del padre benedettino Eugenio Maria Franchi, nominato nel 1770 alla cattedra de chronologia et de re diplomatica con l'obbligo fra l'altro di occuparsi dell'Archivio pubblico, che si progettò una più vasta opera di riordinamenti. Quest'ultima fu attuata solo in parte; riguardò l'ufficio dei vicariati, delle bollette, delle acque, dei tribuni della plebe, dei difensori dell'avere, del tribunale di rota ed alcuni fondi giudiziari del periodo comunale. Ma l'opera del Franchi [Ed anche quella di Vincenzo Lazzari che nel 1785 sostituì il Franchi nella cattedra universitaria e nell'incarico presso l'Archivio pubblico] fu quasi completamente cancellata agli inizi del sec. XIX, sia a causa dei coevi eventi politici, sia per l'ammassarsi presso tale archivio, a seguito delle relative disposizioni napoleoniche, di una vasta mole di materiale costituito dagli atti dei notai. Un altro consistente nucleo archivistico appartiene all'archivio segreto senatorio che incominciò a formarsi nei primi decenni del sec. XVI. Già i sedici riformatori dello Stato di libertà di cui il senato ereditò le funzioni, conservavano le carte presso i loro notai anziché versarle alla Camera actorum. Anche il senato e tutte le assunterie che da esso dipendevano non versavano i loro documenti all'archivio centrale comunale. Va altresì ricordato che talvolta le assunterie e lo stesso senato estrassero dalla Camera actorum i documenti che consideravano quali precedenti delle pratiche in corso. Si spiegano così ad esempio alcune date a quo di determinate serie già appartenenti all'archivio segreto senatorio. Solo nel corso del Settecento, soprattutto nella seconda metà, tramite l'assunteria di cancelleria si cercò di riordinare, ma solo parzialmente, la documentazione archivistica via via raccoltasi presso l'archivio del senato. Nell'operare i riordinamenti e nell'approntare repertori ed indici di determinate serie, alcuni dei quali peraltro ancora utili, si accolsero le suggestioni del razionalismo settecentesco. All'interno delle varie magistrature, di cui si cercò di individuare i rispettivi archivi, si raggrupparono spesso i documenti per affinità di argomento, una volta ideata una classificazione per materie o fissata una tipologia formale (atti, lettere, recapiti, ecc.). La struttura dei fondi archivistici più oltre presentati deriva in parte da riordinamenti settecenteschi, in parte dal riordinamento del Malagola già ricordato. Appartiene al nucleo dell'archivio segreto senatorio anche il fondo dell'ambasciata bolognese a Roma, istituto che, nell'ambito delle città inserite nell'organizzazione dello Stato pontificio, appare anomalo. Tale fondo fu riordinato nella prima metà del Settecento; alla base della scelta archivistica settecentesca sta una scelta politica mirante a far divenire tale istituto un agguerrito strumento di lotta a tutela della secolare ma un po' sonnolenta autonomia fondata sugli oramai remoti capitoli del 1447. I riordinamenti fatti nella prima metà del Settecento corressero in gran parte quelli compiuti nei secoli precedenti; gli indici e le rubriche compilati oltre due secoli fa sono tuttora abbastanza utili, dal momento che la struttura complessiva del fondo non ha subito ulteriori rilevanti rimaneggiamenti. Non apparteneva originariamente al nucleo dell'archivio segreto senatorio, in quanto vi si aggiunse in seguito, l'archivio della legazione, relativamente ai secc. XVI-XVIII. I legati, rappresentanti della sovranità pontificia, ed i rispettivi vicelegati, tenevano presso di loro i documenti che producevano, soprattutto quando riguardavano rapporti con la Santa Sede e fatti di natura politica; li portavano poi o in altre sedi in cui andavano successivamente a ricoprire cariche o a Roma (per cui si trovano oggi presso l'Archivio segreto vaticano). Non qualitativamente rilevante è perciò la documentazione archivistica rimasta a Bologna; tra questa è pressoché priva di lacune quella relativa ai registri delle supplicationes e delle expeditiones che vennero a lungo conservati presso la Camera actorum. Un terzo nucleo documentario è quello che al momento dell'istituzione dell'Archivio di Stato - fu anzi il primo ad esservi accolto - proveniva dal grande archivio degli atti civili e criminali; questo era stato istituito con la confluenza di più fondi archivistici, nel 1803. Uno di questi apparteneva al tribunale del Torrone. Fino al 1525 la giustizia penale era stata attribuita al podestà cittadino; i documenti riguardanti materia penale venivano perciò depositati presso la più volte ricordata Camera actorum. Dopo tale data venne creato un apposito organo, il tribunale del Torrone, i cui membri erano di nomina legatizia o pontificia; segno evidente quest'ultimo del ridimensionamento che stava subendo, anche nel settore giudiziario, la tradizionale autonomia cittadina. La documentazione via via prodotta dal tribunale del Torrone, quantitativamente assai rilevante, veniva conservata o presso la sede di esso o presso il monte di pietà. A quest'ultimo fu affidato infatti, a partire dal 1565, e fino alla ristrutturazione generale degli organi giudiziari del 1802, la gestione del foro criminale. Anche la giustizia civile, amministrata in periodo comunale dai vari " dischi " della curia podestarile, passò, a partire dai primi decenni del sec. XVI, ad un nuovo organo, il tribunale di rota. Esso esercitava la funzione giurisdizionale in prima istanza, mentre in ultima istanza giudicava il tribunale della segnatura apostolica; la documentazione relativa fu conservata in un primo tempo presso i singoli notai attuari; poi passò all'Archivio pubblico (già Camera actorum) ed infine, dopo la sua istituzione, al grande archivio degli atti civili e criminali. Nel nucleo degli atti civili e criminali vanno altresì compresi sia gli archivi dei vari organi giudiziari del periodo napoleonico e dei periodi successivi: sia documenti ed archivi di magistrature del periodo comunale tolti, per mancanza di spazio, dall'Archivio pubblico. Il quarto importante nucleo archivistico da menzionare è quello appartenente alle corporazioni religiose soppresse in periodo napoleonico, tra i cui documenti se ne annoverano alcuni risalenti al sec. X (il più antico è del 922). Nell'ambito bolognese l'intero fondo è noto come "archivio demaniale", dall'ufficio del demanio che ha provveduto al relativo versamento. Spettava infatti a tale ufficio l'amministrazione dei beni delle compagnie religiose soppresse; contemporaneamente infatti agli archivi delle corporazioni religiose fu versato anche quello dell'amministrazione demaniale relativamente a Bologna, Ferrara e Forlì. La struttura attuale dell'intero fondo ricalca completamente quella ottocentesca; impiegati dell'ufficio del demanio, nel mantenere la distinzione degli archivi per singoli conventi e monasteri, redassero nel 1834 un inventario generale che, pur con qualche difetto, è tuttora un valido strumento di corredo. Ma segni rilevanti di precedenti riordinamenti settecenteschi si trovano in quasi tutti gli archivi delle corporazioni. Nei primi periodi di vita dell'istituto bolognese vennero altresì versati i fondi dei vari organi politico-amministrativi dell'epoca napoleonica e della maggior parte delle magistrature preunitarie. Quelle postunitarie, spesso peraltro frammentarie, via via successivamente accolte, completarono gradualmente la già ricca documentazione che si era concentrata in precedenza. Gli archivi delle magistrature fin qui menzionate costituiscono senz'altro la parte qualitativamente più rilevante dell'intera documentazione archivistica conservata presso l'archivio bolognese, ma non l'esauriscono. Assai ricca è altresì la documentazione degli archivi privati. Questi, soprattutto quando si riferiscono alle famiglie che godevano del privilegio del senatorato o a personalità che ricoprirono cariche pubbliche, sono importanti almeno quanto lo sono gli archivi delle magistrature. Molto vasti altresì, e con una ricca documentazione tre-quattrocentesca, sono i fondi dei notai e degli ospedali.