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Cesare Tumedei

1894 - 1980

Cesare Tumedei nacque a Montalto Marche (Ascoli Piceno) l'11 luglio 1894 da Giuseppe, medico chirurgo, e Marianna Sacconi. Rimasto orfano di padre nel 1909 , nel novembre del 1910 si iscrisse alla Facoltà di giurisprudenza della Regia Università di Bologna con il fratello gemello Pompeo, mentre il fratello Angelo si iscrisse nel 1920. Vinse il premio Ceneri in esegesi di diritto romano nel dicembre 1913 e si laureò, avendo come relatore Giacomo Venezian, con il massimo dei voti il 6 febbraio 1915 con una tesi in diritto civile dal titolo "La separazione dei beni ereditari". Grazie a questo lavoro, nel 1915 vinse, inoltre, il premio Vittorio Emanuele II bandito dall'Università di Bologna e nel 1916 poté accedere al perfezionamento in diritto civile. Si arruolò come volontario nella Prima guerra mondiale, anche sotto l'influenza dello stesso Venezian e di Silvio Perozzi (titolare della cattedra di istituzioni di diritto romano a Bologna) che erano stati i principali promotori della sezione bolognese del Partito nazionalista, alla quale Tumedei si avvicinò nel 1912 per poi fondare l'anno successivo il gruppo giovanile nazionalista. Nel 1919 il fratello Pompeo morì per le ferite riportate in guerra e Cesare si arruolò come volontario a Fiume con Gabriele D'Annunzio, contribuendo alla fondazione nello stesso anno dell'Associazione combattenti di Bologna e della Lega antibolscevica, nata dalla frattura con il neocostituito fascio bolognese. Dagli inizi del 1920 al marzo 1921 fu addetto all'ambasciata italiana a Berlino su incarico del Ministero degli esteri, mentre nella seconda metà del 1922, durante la guerra greco-turca, fu anche corrispondente di guerra per Il Resto del Carlino, il Giornale di Genova e il Giornale di Roma, viaggiando tra Asia Minore, Turchia, Palestina ed Egitto.

Si trasferì poi a Roma in pianta stabile per svolgere la professione di avvocato. Condivise per un breve periodo lo studio con Filippo Vassalli e nel 1923 entrò nello studio legale di Vittorio Scialoja. Nel 1922 aveva ottenuto la libera docenza in istituzioni di diritto romano presso la Regia Università di Roma, ma nella realtà dei fatti tenne i corsi solamente negli anni accademici 1923-24 (anni in cui il fratello Angelo ottenne il passaggio all'Ateneo romano dall'Università di Bologna) e 1926-27, in sostituzione dello stesso Scialoja. Durante questi anni, si dedicò molto alla politica: nel 1920 venne eletto consigliere provinciale di Ascoli Piceno, dove tra il 1923 e il 1925 fu presidente dello stesso Consiglio. Durante le elezioni politiche del 1921 venne eletto nelle liste nazionaliste senza ottenere però la convalida perché non aveva ancora compiuto trent'anni, e successivamente nelle elezioni del 1924 venne eletto alla Camera come candidato della Lista nazionale dopo la fusione dei nazionalisti con il Partito nazionale fascista.

Durante la crisi Matteotti, fece parte dell'area normalizzatrice del fascismo, la quale, avendo in Antonio Salandra e Vittorio Emanuele Orlando due dei principali punti di riferimento, mirava a trovare una soluzione moderata e legalitaria, auspicando un fascismo nazionale, liberale e conservatore all'ombra della monarchia. Questa posizione moderata caratterizzò tutto il corso della sua esperienza politica durante il Ventennio, causando diversi attriti con il regime, compreso il suo rifiuto a ricoprire l'incarico di sottosegretario al ministero delle Finanze nel giugno 1924. Sempre su questa scia, partecipò anche alla riunione del dicembre 1924 a casa del vicepresidente della Camera, Raffaele Paolucci, insieme ad altri quarantaquattro deputati per chiedere una maggiore osservanza della giustizia, della Statuto e delle leggi contro ogni forma di violenza. Seguì, inoltre, da vicino le vicende finanziarie legate alla situazione post-bellica dell'Ansaldo e alla liquidazione della Banca Italiana di Sconto, e fu relatore nel giugno 1925 della legge per la sistemazione definitiva dei debiti della Banca e dell'approvazione degli accordi per il consolidamento del debito italiano verso gli Stati Uniti nel dicembre dello stesso anno.

Fino alla fine della XXVII legislatura dette il suo contributo alla vita parlamentare partecipando sia ai lavori della giunta per il Regolamento interno della Camera sia a quelli della giunta generale del Bilancio, e fu proprio in quest'ultima che concentrò la maggior parte delle proprie energie, criticando anche i bilanci presentati dal ministro delle Finanze Giuseppe Volpi per gli anni 1926-27 e 1927-28, biasimando tra le altre cose l'aumento delle spese e la rivalutazione della moneta. Nonostante le critiche della stampa fascista, Benito Mussolini nel luglio del 1929 sostituì Volpi con Antonio Mosconi, inviando al nuovo ministro «alcuni documenti riservati concernenti le recenti discussioni in tema di politica finanziaria italiana [con] lettere e appunti di Tumedei»; nell'aprile del 1929, lo stesso Tumedei venne nominato alla presidenza della giunta del Bilancio e durante questo incaricò ebbe numerosi confronti con i ministri perché non risparmiò critiche e moniti a bilanci e progetti di legge per limitare le spese da parte dello Stato.

Dopo una polemica pubblica su come l'Italia avrebbe dovuto affrontare la crisi economica mondiale con Arnaldo Mussolini, avvenuta alla fine del 1930 sulle colonne del Popolo d'Italia e del Giornale d'Italia, Tumedei fu invitato a dare le dimissioni dalla presidenza della giunta, e da allora in poi limitò drasticamente la sua partecipazione all'attività.

Nel 1931 sposò Alina Casalis (nipote del senatore Bartolomeo Casalis), ed il 26 gennaio 1932 nacque la figlia Maria Anna (detta Mariannella). Nel novembre dello stesso anno, venne nominato vicepresidente dell'Istituto mobiliare italiano ma nel 1935, suo malgrado, dovette abbandonare quell'incarico perché venne nominato sottosegretario presso il ministero di Grazia e Giustizia, incarico da cui comunque diede le dimissioni nel novembre del 1936. Nel 1937 si concluse anche il suo incarico quale vicesegretario generale della Società delle nazioni, iniziato nel 1932 (dal 1924 al 1932 aveva ricoperto la carica di delegato aggiunto, grazie a Scialoja).

Nominato consigliere nazionale nella Camera dei fasci e delle corporazioni in qualità di componente della corporazione della previdenza e del credito, con l'ingresso dell'Italia in guerra fu subito mobilitato e nel 1941 prese parte al conflitto combattendo in Libia con il grado di maggiore, nonostante ormai fosse sempre più lontano dal fascismo.

Dopo la caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, fu vicino agli ambienti della Corona e, attraverso Giovanni Visconti Venosta e alcuni degli avvocati romani coinvolti nella lotta di liberazione, prese contatti con il Comitato di liberazione nazionale e l'organizzazione clandestina dei militari che non avevano seguito Mussolini al Nord. La sua collaborazione all'attività della Resistenza, attestata anche dall'Ufficio servizi strategici degli Stati Uniti, contribuì, dopo l'arresto del 19 agosto 1944, alla decisione dell'Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo di archiviare i procedimenti di epurazione a suo carico.

Durante questo periodo, lasciò anche il consiglio d'amministrazione dell'Istituto italiano di credito fondiario, dove era entrato nel 1927, e quello della Società Montecatini, nel quale sedeva dal 1942. Nel dopoguerra fece invece parte del consiglio d'amministrazione dell'Istituto romano beni stabili, della SME - Società meridionale finanziaria e della Montedison, ricoprendo anche l'incarico di vicepresidente della società Bastogi.

Nel secondo dopoguerra, Tumedei si ritirò dalla vita politica, fatta eccezione per alcuni contributi della metà degli anni Cinquanta su Nuova Antologia concernenti temi come la legge elettorale e gli idrocarburi. Nel 1965 interruppe anche il suo rapporto, da decenni solo formale, con La Sapienza per concentrarsi sull'attività professionale dello studio legale che condivideva con il fratello Angelo.

Nel 1969 perse la moglie Alina e nel 1973 la figlia Mariannella, da tempo malata. Proprio per via di queste perdite, causate dalla carenza di servizi di dialisi e di unità coronariche nella capitale, decise di lasciare tutto il suo patrimonio all'Accademia delle Scienze detta dei XL perché fosse devoluto integralmente al potenziamento e al miglioramento delle strutture ospedaliere di Roma. Lasciò invece la sua dimora, Villa Lontana sulla via Cassia (acquistata dagli eredi di Beneduce) allo Stato, con l'obbligo di farne la residenza del presidente del Consiglio.

Morì a Roma il 4 aprile 1980.

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