logo-scritta-A

Il 31 luglio 1954 venne raggiunta per la prima volta la vetta del K2, la seconda montagna più alta al mondo. A settant'anni di distanza, il  Museo rilegge criticamente l'eredità di questa tappa storica a partire dalle testimonianze materiali presenti nelle proprie collezioni, "cimeli" offerti personalmente al fondatore del Museo Guido Ucelli (1885-1964) da Ardito Desio (1897-2001), capo della spedizione. Come le vicende attorno all'ultima fase della scalata furono però; decenni oggetto di dibattito, anche questi oggetti si trovarono, già a pochi anni dal loro arrivo al Museo, al centro di una lunga contesa, testimoniata dai documenti presenti nell'Archivio Storico del Museo.

Gli oggetti nelle collezioni

I quaranta oggetti legati alla spedizione includono materiali di diverso tipo, in gran parte provenienti dal campo base degli alpinisti italiani. Il 24 febbraio 1955 inaugurava infatti alla presenza del capo della spedizione Ardito Desio, del presidente del Club Alpino Italiano e dell'Arcivescovo Montini, una mostra dedicata all'evento. Allestiti in una scenografia che evocava la catena Himalayana comparivano gli oggetti-simbolo della scalata: le tende, le radio, le bombole di ossigeno, le corde e altre attrezzature - come fornelli, lampade e il gruppo elettrogeno. Come spesso accade, a seguito dell'esposizione gli oggetti restarono al Museo, anche perchè; Desio auspicava entrassero a far parte della "sezione delle esplorazioni e delle spedizioni italiane d'oltremare" (mai realizzata). Tra gli oggetti più significativi si ricordano: le bombole di ossigeno Dalmine con respiratore e basto di supporto in alluminio (l'utilizzo delle bombole fu centrale nella diatriba sul decisivo tentativo alla vetta), le ricetrasmittenti Allocchio Bacchini, le tende da campo Ettore Moretti (medesima azienda produttrice della Tenda rossa).
In occasione del settantesimo anniversario della spedizione si è aperto un percorso di studio della storia di questi oggetti, avviando una riflessione congiunta con le altre realtà ad essi legate, in primo luogo il Museo Nazionale della Montagna di Torino.
Sono stati inoltre eseguiti i necessari interventi di conservazione e documentazione.

La spedizione

La spedizione, tutta italiana, era guidata dal noto geologo e geografo Ardito Desio (1897-2001), che già nel 1929 aveva preso parte alla missione del Duca di Spoleto nella catena del Karakorum, nell'attuale Pakistan. All'epoca Desio era un esperto esploratore e alpinista, presenza di rilievo nazionale presso l'Università di Milano e componente di spicco di numerose accademie, tra cui la Società Geografica Italiana (presidente dal 1941) e il Comitato Scientifico Centrale del Club Alpino Italiano (presidente dal 1931). In questa veste aveva guidato numerose spedizioni scientifiche ed esplorative in Asia e nelle colonie dell'Italia fascista, soprattutto in Libia - dove negli anni Trenta effettuò le ricognizioni che portarono alla scoperta del "petrolio libico" e in Etiopia - sul fronte minerario.
Nel 1939 Desio aveva proposto al Club Alpino Italiano (CAI) la ricerca di finanziamenti per la spedizione. Fu solo nel dopoguerra che l'occasione si concretizzò con il sostegno da parte del CNR, del Comitato Olimpico Nazionale Italiano e del CAI: per il governo italiano "la corsa agli ottomila" era un'occasione per acquisire visibilità e credito sulla scena internazionale.
Il K2, seconda montagna più alta al mondo, era -ed è- considerata la vetta più; difficile da scalare e nel 1939 e 1953 fu teatro di due spedizioni americane tragicamente fallite. La missione italiana arrivò sul luogo nell'aprile 1954, e in luglio situò il campo base alla quota di 5.000 metri. Desio, quasi sessantenne, designò Achille Compagnoni (1914-2009) come capo del gruppo che avrebbe proseguito la scalata; le comunicazioni tra gli alpinisti sarebbero avvenute via radio. Secondo le indicazioni di Desio, Compagnoni decise - in base alle condizioni fisiche - che sarebbe stato Lino Lacedelli (1925-2009) a tentare di raggiungere la vetta insieme a lui. Gli altri due compagni avrebbero avuto il ruolo di gregari, trasportando all'ultimo campo le attrezzature, tra cui le bombole di ossigeno, senza cui all'epoca si riteneva impossibile raggiungere la cima.
Il 31 luglio 1954 Achille Compagnoni e Lino Lacedelli conquistarono effettivamente il primato.
Attorno agli ultimi momenti della scalata nacque però una grave polemica: Walter Bonatti (1930-2011) accusò Lacedelli e Compagnoni di averlo abbandonato, insieme al portatore Amir Mahdi Borzabadi (1913-1999), al gelo notturno in una zona considerata mortale, mettendo a repentaglio le loro vite. Mentre Bonatti uscì indenne da quel bivacco estremo, "unza" Mahdi riportò danni permanenti. La versione ufficiale allora fornita da Desio e dal CAI avvalorò le testimonianze di Compagnoni e Lacedelli: l'incontro al campo concordato era stato impossibile per i problemi di comunicazione dovuti al maltempo e alla distanza tra i due gruppi. I due scalatori sostennero inoltre che Bonatti aveva utilizzato parte dell'ossigeno delle bombole, mettendo a rischio l'esito della missione. Per decenni Bonatti, all'epoca dei fatti diciannovenne e poi divenuto alpinista di fama internazionale, si battè contro queste accuse nei suoi riguardi. Il racconto di Compagnoni e Lacedelli era però avvalorato da istituzioni e stampa, che davano spazio alla dimensione eroica dell'impresa.
Soltanto nel 2004, a seguito di un rinnovato interesse da parte della stampa estera per il caso e con l'esame di nuova documentazione fotografica, il CAI rivalutò le vicende e accordò piena veridicità alla versione di Bonatti, riconoscendo il fondamentale contributo dato da lui e da Mahdi al successo della spedizione.

L'arrivo dei "cimeli" al Museo e la costruzione della narrazione

La corrispondenza in Archivio rivela come già nel febbraio 1954 (a poco più di un anno dall'inaugurazione del Museo) Guido Ucelli, fondatore del Museo, offrisse alla Commissione della Spedizione Italiana al Karakorum - K2 la Sala delle Riviste per la conferenza stampa cittadina che avrebbe presentato la spedizione. Nell'agosto dello stesso anno proponeva ad Adrio Casati (Presidente dell'Amministrazione Provinciale e del Club Alpino di Milano) e a Vittorio Lombardi (Presidente del Comitato organizzatore della spedizione) di organizzare presso il Cinema del Museo l'anteprima alle autorità del documentario della spedizione. In questa stessa occasione confermava che "il Museo si riterrà ben onorato di poter conservare i cimeli scientifici della mirabile conquista" (Archivio del Museo, Eventi, convegni e manifestazioni varie (1929-1960), b. 5, Conferenza prof. Desio sul K2 1955, lettera di Guido Ucelli a Adrio Casati, 7 agosto1954; Archivio del Museo, Corrispondenza II, b.139, lettera di Guido Ucelli a Vittorio Lombardi, 7 agosto 1954). Gli oggetti arriveranno effettivamente al Museo nel 1955, per la mostra dedicata all'"impresa": l'elenco dei beni riporta 28 voci di strumentazione da campo di vario genere (dalle tende alle lampade), oltre un plastico fatto realizzare appositamente da Desio (Archivio del Museo, Amministrazione, Cause, Causa CAI, b. 2, materiale in deposito presso il Museo della Scienza e Tecnica, 26 maggio 1955). Come nel 1928 era stata esposta la Tenda rossa presso il Castello Sforzesco di Milano, nel 1955 la mostra sul K2 celebrava i "cimeli scientifici" della spedizione, tutta italiana, che aveva dimostrato al mondo come il Paese - forte del boom economico del dopoguerra - fosse in grado di assicurarsi un tale "primato". "Con l'impresa leggendaria del K2, anche ad averne letto relazioni e resoconti particolareggiati, è difficile prendere confidenza, l'atmosfera del mito la avvolge e la innalza troppo al di sopra della realtà quotidiana" esordisce un articolo del Corriere della Sera dedicato alla mostra (23 febbraio 1955). Gli oggetti utilizzati dagli alpinisti diventavano così emblemi materiali per parlare al grande pubblico del successo della nazione, cui avevano concorso tecnologie e materiali d'avanguardia fornite da aziende del Paese, come Moretti per le tende e Dalmine per le bombole di ossigeno. L'idea stessa che potessero confluire in una "sezione delle esplorazioni e delle spedizioni italiane d'oltremare" (mai realizzata) insieme a "cimeli ed apparecchiature tecnico-scientifiche usate in occasioni delle numerose spedizioni italiane d'oltremare che oggi sono sparsi un po' qua, un po' là, e che probabilmente non sarebbe tanto difficile ottenere" (Archivio del Museo, Corrispondenza II, b. lettera di Ardito Desio a Guido Ucelli, b.87, 9 febbraio1957) conferma come il museo fosse inteso come luogo di divulgazione pubblica delle politiche nazionaliste attraverso la forma dell'esposizione, temporanea e permanente.

Simboli e racconti contesi

Tra gli oggetti concessi in comodato da Desio a Ucelli rientrava anche un prestigioso trofeo, di rilevante valore economico: la Caravella d'Oro (Trofeo Colombo) donato dalla città; di Genova alla spedizione. Attorno a questo premio nel 1957 si aprì; una lunga diatriba, che vide opporsi Desio e il Museo contro il Centro Alpino Italiano (CAI). Quest'ultimo, infatti, riteneva dovesse essere esposto nel Museo Nazionale della Montagna di Torino, "dove sono raccolte tante testimonianze di celebri Imprese su tutte le montagne del globo ed i cimeli di più memorabili conquiste" (Archivio del Museo, Amministrazione, Cause, Causa CAI, b. 2, lettera di Giovanni Ardenti Morini a Guido Ucelli, 13 marzo1957). Nel carteggio tra Desio e Ucelli degli anni successivi emerge come il geologo ritenesse che fosse il Museo della Scienza a dover conservare il premio con gli altri "cimeli", sollecitando Ucelli per metterli in esposizione permanente anche in un luogo non definitivo (Archivio del Museo, Amministrazione, Cause, Causa CAI, b. 2, lettera di Ardito Desio a Guido Ucelli, 18 ottobre1960). La diatriba sfociò in un'azione legale, in cui il CAI opponeva che quasi tutti i membri della spedizione, insieme agli ottantamila soci, auspicavano che il trofeo fosse esposto presso il Museo della Montagna, "desiderio e presa di posizione validissima perchè la vittoria fu frutto, come sempre in simili imprese, di un lavoro di équipe" (Archivio del Museo, Amministrazione, Cause, Causa CAI, b. 2, lettera di Cesare Negri a Guido Ucelli, 30 ottobre1961). Non veniva rivendicato il "materiale vario - scientifico e alpinistico", che il Museo della Scienza e della Tecnica considerava un tutto unico con la Caravella. Gli avvocati sostenevano invece come la donazione di Desio all'istituzione cittadina si collocasse nel solco di una tradizione per cui il Museo già conservava testimonianze come la "Stella Polare" del Duca degli Abruzzi, il Leone di Caprera, la Tenda rossa. Nel 1964, a distanza di sette anni, il Tribunale di Milano si pronunciò con l'assegnazione al CAI dei beni. Il dissenso attorno all'istituzione che avrebbe dovuto prendersi cura dei "cimeli" rende evidente come il contesto di rappresentazione pubblica in cui questi oggetti vengono collocati determini larga parte del loro valore simbolico. Nella Memoria per il Tribunale (10 gennaio 1968) si legge una considerazione proprio in questo senso: "E' fuori luogo discutere in questa sede della speciale natura dei beni consegnati dal Prof. Desio al Museo della Scienza e della Tecnica, una volta che lo stesso CAI attribuisce loro la qualità di "cimeli storici", di oggetti quindi che hanno perso le loro caratteristiche intrinseche ed economiche e sono diventati rilevanti, per quello che rappresentano e per la loro destinazione che loro è stata data [sic]".

Un percorso di rilettura critica condiviso

In occasione dei settant'anni dal raggiungimento della vetta del K2 si è avviato un percorso di rilettura critica degli oggetti e delle loro vicende, secondo le linee di ricerca promosse dall'Osservatorio sul Patrimonio Scientifico e Tecnologico del Museo. Attraverso il confronto con accademici ed esperti - tra cui il professor Stefano Morosini, dell'Università degli Studi di Bergamo - è proseguita la riflessione attorno alla valenza sociale, politica e culturale delle esplorazioni nella prima metà del Novecento, avviata con lo studio della Tenda rossa. In entrambi i casi, la dimensione scientifica e tecnologica si lega intrinsecamente alle connotazioni nazionalistiche, per cui la spedizione - interamente italiana - offre l'occasione di dimostrare al mondo intero la capacità italiana di ideare e realizzare equipaggiamenti tecnici di avanguardia ed eccellenza. E' un trionfo per tutti gli italiani del dopoguerra, che hanno bisogno di nuovi successi nazionali a cui guardare per costruire il proprio futuro. A distanza di decenni siè inoltre aperto un dialogo tra le istituzioni che all'epoca furono al centro della diatriba attorno agli oggetti che materialmente testimoniavano e permettevano di raccontare la conquista della cima del K2.
Come sono studiate e raccontate le grandi spedizioni del passato alla luce della rinnovata sensibilità delle persone appassionate di montagna? Come sono vissute oggi le terre d'alta quota da chi le ama o se ne occupa per professione?
A queste e ad altre domande vuole rispondere il confronto comune instaurato con il Museo della Montagna, che ha preso una prima forma nella tavola rotonda "K2 e altre storie: le grandi spedizioni tra conservazione e narrazione" (Sala Biancamano, 24 novembre 2024).
In parallelo è stata avviata una campagna di manutenzione conservativa, che si è concentrata sugli oggetti più vulnerabili piuttosto che attorno alle "icone", in un'ottica di sostenibilità. Per questa prima fase di lavoro sono quindi stati selezionati i beni con una componente tessile e organica, considerati più delicati e a rischio di danneggiamento, anche a causa delle condizioni di imballaggio e conservazione divenute nel tempo obsolete.
Tenendo conto della destinazione a deposito dei beni è stata inoltre commissionata una documentazione fotografica degli oggetti, necessaria come strumento di lavoro interno e al contempo fondamentale per garantire l'accessibilità digitale.
Queste azioni si collocano nel contesto di un più ampio progetto di revisione conservativa e inventariale, in linea con la creazione di nuovi depositi sia interni che esterni al museo.

Con il contributo di