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L'orso bruno marsicano è una specie endemica dell'Appennino centrale, diffusa con una piccola popolazione nei monti del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, di cui rappresenta il simbolo ed uno dei principali valori naturalistici. Con il nome di Ursus arctos marsicanus venne descritta la popolazione dell'Appennino centrale, come sottospecie, nel 1921 da Giuseppe Altobello, un naturalista molisano che studiò la fauna del Molise e dell'Abruzzo. Gli studiosi successivi non riconobbero immediatamente tale classificazione fino al 1954, quando il paleontologo Sergio Conti, avendo potuto studiare un cranio di orso bruno marsicano, conservato nel Museo di Storia naturale di Genova e avendo individuato alcuni altri caratteri significativi, confermò la validità della sottospecie. Ma bisogna attendere ancora fino agli anni 1982-1984, quando il professor Augusto Vigna Taglianti, con una ricerca sistematica sulla morfologica degli orsi abruzzesi, basata sull'osservazione di diversi resti di numerosi esemplari raccolti e conservati al Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, definì, come sottospecie, la popolazione di orso appenninica, rivalutando il nome Ursus arctos, sottospecie marsicana di Altobello (1921). Questa interpretazione è stata formalizzata e pubblicata sul volume 38 della Fauna d'Italia  (2004) ed è stata confermata dalle ricerche e pubblicazioni successive. La sottospecie appenninica si distingue da tutte le altre popolazioni di orso bruno per vari caratteri morfologici e morfometrici del cranio, particolarmente evidenziabili negli esemplari adulti. Mentre nelle femmine e nei giovani il cranio è simile a quello delle altre popolazioni euro-asiatiche, nei maschi il capo è corto, allargato, alto, con una cresta marcata ed il muso corto. Dal punto di vista faunistico e biogeografico, l'orso marsicano non può essere considerato un semplice relitto "postglaciale" derivato dalle popolazioni alpine scese lungo l'Appennino: le sue origini e affinità devono ancora essere chiarite, ma i primi dati genetici e molecolari parlano comunque in favore di una origine orientale, balcanica. In conclusione, l'orso marsicano ha una storia antica e poco nota, e presumibilmente i suoi antenati hanno popolato l'Appennino arrivando dai Balcani in epoca remota, senza che ci siano mai stati collegamenti con le popolazioni alpine.

Le dimensioni medie di un orso marsicano maschio adulto sono di un peso che si aggira intorno ai 140 - 210 kg (le femmine sono più piccole) ed una lunghezza massima di 150 - 180 cm.

L'orso è un onnivoro e si nutre cioè sia di piante, sia di animali, anche se la sua dieta è costituita per l'80% da vegetali. La sua alimentazione varia stagionalmente a seconda di ciò che la natura offre: bacche e frutti di bosco, insetti e larve, miele, carcasse di animali.

A maggio inizia per gli orsi il periodo degli amori. Tanto i maschi quanto le femmine possono accoppiarsi con più individui nella stessa stagione e di conseguenza i piccoli di una stessa cucciolata possono essere di padri diversi. La femmina partorisce da 1 a 3 cuccioli a febbraio, durante il periodo dell'ibernazione. Al momento della nascita i piccoli pesano meno di 500 grammi e dipendono completamente dalla mamma. Grazie al latte materno che è particolarmente ricco di grassi, gli orsacchiotti riescono a crescere rapidamente per affrontare lo svezzamento in l'estate e rimangono con la madre per più di un anno. Quando arrivano primi freddi, con il cibo che comincia a scarseggiare, gli orsi vanno alla ricerca di un rifugio asciutto e sicuro dove trascorrere l'inverno. Nella tana l'orso va in ibernazione che è differente dal letargo. L'ibernazione invernale è un periodo in cui l'orso rallenta le attività vitali e sopravvive grazie al grasso accumulato in autunno che funziona, sia come riserva energetica, sia da isolante termico. Non si tratta di un letargo vero e proprio, a differenza di altre specie infatti, gli orsi mantengono un buon grado di reattività agli stimoli esterni e possono addirittura uscire fuori dalla tana durante le belle giornate invernali.

Gli orsi confidenti

Il fenomeno degli orsi confidenti riguarda tutto il mondo e anche il Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise. Già nel 1877 troviamo tracce di tentativi di allontanare l'orso da quello che oggi chiamiamo "cibo facile" inteso come cibo di origine antropica. In un documento inviato da Pescasseroli alla Direzione Regie Cacce di Napoli, si chiede l'autorizzazione all'abbattimento di un orso per la continua predazione di bestiame. In quell'epoca non era infatti previsto nessun indennizzo per i danni causati dall'orso, un passaggio fondamentale nel processo di convivenza con il grande mammifero che arriva solo nel 1969, anno in cui risale l'erogazione di indennizzo per i danni causati dall'orso grazie al WWF a cui il Parco è subentrato facendosene carico a partire dal 1971, fino ad arrivare ai giorni nostri con uno specifico regolamento. Gli archivi del Parco ci hanno permesso di scoprire che quelli che oggi chiamiamo "orsi confidenti" in realtà ci sono sempre stati. Quello che risulta più difficile comprendere sono: le condizioni, le dinamiche, le risposte gestionali e i contesti, perché in passato, gli orsi confidenti non sono stati adeguatamente descritti né monitorati, come invece avviene oggi. Inoltre, se da un lato era ben chiaro che bisognava proteggere gli orsi, dall'altro erano animali che creavano problemi all'unica risorsa economica del tempo: la pastorizia. Ma che cos'è un orso cosiddetto confidente? Per confidente si intendono gli orsi che arrivano nei paesi, provocano danni o sono protagonisti di interazioni uomo-orso, con una frequenza tale da creare problemi economici e/o sociali al punto da richiedere un immediato intervento gestionale.  La gestione del fenomeno quindi si inserisce in una strategia di conservazione della popolazione dove il contributo genetico e riproduttivo di ogni singolo individuo ha un ruolo fondamentale, insostituibile e irrinunciabile. Il primo orso confidente adeguatamente descritto e monitorato in epoca moderna è il caso dell'orsa FP07, nota con il nome di Yoga.

Il caso dell'orsa Yoga

A partire dal 1994 Yoga ancora giovane ha iniziato a frequentare la zona della Camosciara, nei Comuni di Civitella Alfedena e Opi, dove andava alla ricerca di cibo nei cassonetti e all'interno dei campeggi. Le prime attività messe in campo dal Parco furono la rimozione del "cibo facile". Nell'area frequentata dall'orsa si iniziò con la pulizia costante e sistematica dei resti dei picnic abbandonati dai turisti lungo la strada e i fiumi, la rimozione dei cassonetti dei rifiuti e l'allestimento di siti di alimentazione artificiale (supplemental feeding). Quest'ultima operazione però si rivelò totalmente inefficace, perché l'orsa prima mangiava dai siti artificiali e poi continuava nei paesi. Si tentò quindi con la traslocazione, cioè lo spostamento dell'orsa che fu trasferita in Cicerana, nel Comune di Lecce nei Marsi, a una distanza lineare di quasi 20 km dal luogo di origine. Dopo soli 5 giorni Yoga tornò in Camosciara. Nel 1997 a seguito di nuove incursioni, il Parco decise di rimuovere l'orsa e metterla in cattività in un recinto a Villavallelonga a oltre 60 km di distanza, ma dopo una settimana riuscì a fuggire e a ritornare in Camosciara. A partire dal 1998, si decise un primo programma reattivo attraverso le attività di dissuasione con proiettili di gomma. I risultati all'inizio furono abbastanza incoraggianti in quanto l'orsa acquisì un comportamento più elusivo. Nel 1999 però, dopo l'ingresso nella cantina di un'abitazione nel Comune di Opi, il Parco, dopo un'attenta valutazione, decise di rimuoverla definitivamente e di riportarla nell'area faunistica di Villavallelonga.

Nel 2019 è morta di vecchiaia.

 

Per approfondimenti è possibile consultare il Rapporto Orso che viene aggiornato annualmente.